Il viaggio di Curiosity lungo le pendici del monte marziano Sharp, nel cratere di Gale, ha portato all’osservazione di un dettaglio che rivoluzionerebbe le conoscenze sulla transizione da pianeta umido ad arido avvenuta circa 3.5 miliardi di anni fa: il rover Nasa ha identificato prove di un’alternanza – non dunque di un passaggio netto – fra le due condizioni per alcuni milioni di anni. Media Inaf ha intervistato il primo autore dello studio, il ricercatore francese William Rapin
Articolo di08/04/2021
Nell’ultimo periodo, i riflettori marziani sono tutti puntati a seguire le “prime volte” di Perseverance: i primi passi, le prime immagini, il primo volo di Ingenuity – il primo drone-elicottero marziano. Oggi, però, il suo instancabile predecessore Curiosity – che ormai bazzica per il Pianeta rosso dal 2012 – richiama l’attenzione con una scoperta che sconvolge la conoscenza della storia geologica di Marte. Lo studio che la riporta, basato sulle osservazioni del “telescopio” posto sullo strumento ChemCam del rover – osservazioni compiute alle le pendici del Monte Sharp (Aeolis Mons) al centro del cratere di Gale – è stato appena pubblicato sulla rivista Geology. La scoperta: il clima marziano durante l’epoca Esperiana – durante la quale Marte perde tutta l’acqua e diventa arido – impresso nella stratigrafia delle rocce mostra un’alternanza fra periodi secchi e periodi più umidi, prima di asciugarsi completamente circa 3 miliardi di anni fa. Il primo autore dell’articolo, William Rapin, ricercatore Cnrs nell’istituto di ricerca in astrofisica e planetologia (Irap) a Tolosa, ripercorre insieme a Media Inaf le principali tappe di Curiosity, spiegandoci il significato di questa nuova scoperta.
William Rapin, primo autore dell’articolo “Alternating Wet and Dry Depositional Environments Recorded in the Stratigraphy of Mt Sharp at Gale Crater, Mars” pubblicato oggi su Geology
«La nostra conoscenza sulla storia geologica di Marte, sulla sua evoluzione climatica e ambientale, è ancora una pagina bianca se confrontata con quel che sappiamo della Terra. Per questo negli ultimi anni abbiamo cercato di posare dei rover sulla superficie marziana. Gli strumenti che abbiamo in orbita sono fondamentali, certo, ma limitano le nostre possibilità di studio alla petrologia: possiamo vedere cioè se ci sono rocce sedimentarie o minerali, possiamo estrapolare l’età delle superfici, ma è solo osservandole da vicino – mediante i rover – che possiamo studiare in dettaglio l’origine delle rocce. E con Curiosity, in particolare, per la prima volta abbiamo accesso a centinaia di metri di rocce sedimentarie».
Nel senso che il rover sta viaggiando lungo questi sedimenti?
«Proprio così. Il senso di questa missione era quello di far arrampicare il rover lungo una superficie stratigrafica di riferimento. Per questo l’abbiamo fatto atterrare nel cratere Gale, nel 2012. Si tratta di un cratere enorme che si è formato a causa di un impatto circa 3.5 miliardi di anni fa, in un’epoca nella quale c’era ancora acqua su Marte. Dunque, ci aspettavamo che il riempimento di questo cratere ci desse delle informazioni sulle condizioni e sull’ambiente dell’epoca. Questo è quello che abbiamo trovato».
Al centro di Gale si trova un monte parzialmente eroso che conserva una sequenza di rocce stratificate dello spessore di 5 km. È lungo le sue pendici che si muove Curiosity, se ho capito bene. Può descrivere il suo percorso?
«Le nostre osservazioni hanno seguito i passi di Curiosity, in un certo senso. Partendo dal basso abbiamo trovato dei sedimenti depositati dall’acqua, sabbia portata dai fiumi dell’epoca. Poi abbiamo cominciato a salire e dopo alcune centinaia di metri siamo giunti a un luogo di transizione della stratigrafia, dalle argille ai solfati. Questi sono dei sali la cui formazione segna l’inizio di un periodo di aridità – condizione che, secondo le nostre conoscenze fin qui, sarebbe divenuta perenne e irreversibile».
Quanto è salito per arrivare fin lì, Curiosity?
«Finora siamo saliti per circa 300 metri e abbiamo incontrato strati sedimentari depositati da laghi e fiume. Ora il rover si trova proprio al confine della transizione e d’ora in poi – se il rover e il telescopio continueranno a godere di buona salute – esploreremo questi depositi eoliani. Era questo il nostro primo obiettivo: analizzare lo strato di solfati per cercare di capire cosa è accaduto in quel momento su Marte. Abbiamo un telescopio, sul rover, che ci permette però anche di fare immagini ad altissima risoluzione degli affioramenti di solfati a distanza – senza esserci ancora giunti sopra. È stato lui la nostra fortuna».
Ci racconti come mai.
«I depositi ai quali siamo arrivati, come dicevo, corrispondono a un cambio d’ambiente radicale: il lago si è seccato e si è trasformato in un mare di sabbia con diverse dune che migravano, portate dal vento, lungo la superficie del cratere. Lo scoop è che, puntando il telescopio un po’ più in alto, qualche centinaio di metri più su, abbiamo visto delle nuove strutture sedimentarie che corrispondono a depositi fluviali, a dei nuovi piani di inondazione».
In che senso è lo “scoop”?
«Questa osservazione sconvolge quel che pensavamo su Marte, cioè che a un primo periodo umido seguisse un periodo di aridità senza possibilità di ritorno, e che il momento della transizione – corrispondente, nel suolo, al luogo su cui Curiosity posa le sue ruote ora – segnasse la fine storia geologica di questo pianeta. Ora, invece, abbiamo scoperto che per un periodo vi è stata una fluttuazione fra queste due condizioni, e questo è davvero sorprendente».
Quanto è lungo questo periodo?
«Fluttuazioni nell’ordine delle centinaia di metri di accumulo in spessore corrispondono, in termini di tempo, a milioni di anni di storia marziana».
Ricapitoliamo un po’ di numeri. Di che altezze parliamo?
«Dunque, il rover si è arrampicato per circa 300 metri. Qui cominciamo a trovare dei sedimenti eoliani, i solfati, per circa 150-200 metri. Poi ancora circa 100 metri più su – in uno spiraglio fra le rocce – compaiono altri sedimenti lacustri. Per ora, non abbiamo che immagini, ma quando il rover poserà le sue ruote sul terreno potremmo condurre analisi dettagliate sulla composizione chimica e mineralogica».
Potrà dunque salire fino a lì, Curiosity?
«Curiosity ha già otto anni di operatività alle spalle – è già un po’ vecchiotto e polveroso – ma per fortuna funziona ancora bene. Lo dico incrociando le dita, perché finora non abbiamo avuto problemi di energia. Probabilmente in futuro ce ne saranno, avendo il rover un motore nucleare la cui potenza decresce nel tempo. Quindi, per ora il piano è quello di continuare a salire lungo il canyon in cui Curiosity è riuscito ad arrivare. Potremmo immaginarlo come molto simile al Canyon di Zion, negli Stati Uniti, costellato di depositi fossili di dune molto antiche che formano affioramenti giganteschi dalle forme coniche che si intrecciano. Ecco, questo è il paesaggio sul quale si muoverà il rover d’ora in poi. Ora che ci siamo arrivati, dovremmo riuscire a procedere molto più velocemente».
Ha fatto tutto da solo, Curiosity, in questa scoperta?
«Non proprio. Sapevamo già, grazie ai dati orbitali, che c’erano delle unità contenenti solfati lungo le pendici del cratere. Non avevamo ancora potuto posare le ruote di Curiosity su queste formazioni, ma grazie a sonde come il Mars Reconnaissance Orbiter, ad esempio, abbiamo analizzato la luce riflessa con degli spettrometri molto precisi, che distinguono le bande molecolari dei minerali e che hanno, appunto, identificato i solfati. Sebbene ci siano molte cose che non si possono comprendere rimanendo in orbita, questi satelliti costituiscono una vera e propria guida per pianificare le operazioni dei rover e individuare luoghi di interesse, e proprio loro ci hanno dato la curiosità di andare a guardare lungo le rive di questo cratere».
Qual è la prossima domanda fondamentale a cui cercherete risposta?
«Direi che la principale questione da capire è l’origine di queste fluttuazioni. Nemmeno sulla Terra siamo ancora riusciti a identificare tutte le fluttuazioni climatiche che troviamo depositate nei terreni. Sappiamo che molte di queste sono probabilmente legate alle variazioni dei parametri orbitali – i cosiddetti cicli di Milanković – che possono indurre cambiamenti climatici. Su Marte potrebbero esserci degli effetti legati al campo magnetico e alla dinamo, oppure a eruzioni su larga scala o ad altri fenomeni che possono essersi verificati nell’epoca Esperiana. Curiosity ha sicuramente i mezzi per farci progredire molto nella conoscenza, e certamente cambierà la nostra percezione di questo periodo cruciale per la storia di Marte, in cui il clima è cambiato radicalmente acquisendo infine delle caratteristiche che potremmo definire extraterrestri».
Immagine di copertina: Vista di collinette sulle pendici del Monte Sharp (cliccare per ingrandire), che mostra i vari tipi di terreno che saranno presto esplorati dal rover Curiosity, e gli antichi ambienti in cui essi si sono formati. Le immagini provengono dal telescopio ChemCam a bordo di Curiosity (mosaici A e B). Crediti: Nasa / Jpl-Caltech / Msss / Cnes / Cnrs / Lanl / Irap / Ias / Lpgn
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Articolo pubblicato su media.inaf.it, nella sezione Astronomia
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