UN LIBRO DI LEONARDO PICCIONE RIPERCORRE LA SPEDIZIONE DI LE GENTIL
L’ipotesi che nell’atmosfera ci possa essere una molecola chiamata fosfina è sorprendente e ha rilanciato l’interesse per il pianeta più inospitale del Sistema solare. Le condizioni per raggiungerlo sono proibitive. Ne parla l’astrofisica Patrizia Caraveo in un articolo pubblicato domenica sul Sole24Ore che, con il consenso dell’autrice, vi riproponiamo oggi su Media Inaf
Per chi, vuoi per scelta, vuoi per necessità, si alza prima del sorgere del Sole, il cielo di giugno offre uno splendido ritratto di famiglia dei pianeti del Sistema solare. Guardando verso est, si vedranno in infilata Mercurio, il più basso sull’orizzonte, Venere, il più brillante, Marte, il più rossastro, apparentemente vicino a Giove, con il quale ha fatto una congiunzione giusto domenica scorsa, e infine Saturno.
In verità, seppure invisibili ad occhio nudo, ci sono anche Urano e Nettuno. Il primo è tra Venere e Marte mentre il secondo è tra Giove e Saturno.
Un allineamento niente male che permetterà di apprezzare la straordinaria brillantezza di Venere, la cui luce dominerà la scena. Non è un caso che il pianeta Venere sia stato così importante nella comprensione del Sistema solare e che i suoi rari transiti davanti al Sole siano stati momenti epocali per lo storia dell’astronomia, come leggiamo in Tutta colpa di Venere, di Leonardo Piccione, dove si percorre la sfortunatissima spedizione di Le Gentil per misurare due transiti di Venere dall’India. La determinazione granitica dell’astronomo è stata sconfitta prima dalla guerra, poi da una “nuvola fatale” con un contorno di naufragi, malattie e problemi di politica coloniale. Una storia umana e scientifica dai contorni epici che forse varrebbe la pena di ponderare per apprezzare quanto fosse alta la posta in gioco. La comprensione del Sistema solare passava dalla luce (e dall’ombra) di Venere.
Adesso sappiamo che Venere è gemello della Terra, anche se è caratterizzato da un ambiente a dir poco infernale. Quello che lo rende così brillante è uno spesso strato di nubi di anidride carbonica e acido solforico che ricopre interamente il pianeta e lo nasconde completamente ai nostri occhi. Oltre a farlo risplendere riflettendo la luce del Sole, le nubi causano uno spaventoso effetto serra che causa temperature al suolo di oltre 450 °C accompagnate da una pressione pari a 90 volte quella terrestre. Condizioni veramente proibitive, tanto che gli strumenti che sono stati fatti atterrare negli anni ’70 dall’Unione Sovietica sono riusciti a funzionare per breve tempo prima di essere sopraffatti dal calore. Dati questi precedenti, si capisce quanto sia stato lo stupore quando, nel settembre 2020, è stato annunciato che nell’emissione proveniente dalle nubi di Venere era stata la scoperta una riga di assorbimento attribuita alla fosfina, una molecola semplice che noi abbiamo nel nostro intestino grazie al lavoro dei batteri anaerobi con i quali conviviamo, ma che può avere anche origine geologica. Di sicuro la molecola, che appartiene a pieno diritto alla classe delle firme della vita, non è semplicissima da formare, perché richiede condizioni che non sembrano esistere nell’atmosfera di Venere. La fosfina potrebbe certamente venire dall’interno del pianeta ed essere liberata nel corso di eruzioni vulcaniche che però dovrebbero essere molto violente per spingere i gas fino a 50 km di altezza. Indipendentemente dalla sua origine, la fosfina non dovrebbe sopravvivere a lungo nell’atmosfera venusiana, cosa che implica una produzione continua della molecola. L’annuncio della presenza della fosfina (con la sua probabile origine biologica) è stato una bomba mediatica. L’idea che nell’atmosfera di Venere, ben lontano dalla caldissima superficie, ci potesse essere qualche forma di vita in grado di produrre fosfina era semplicemente sorprendente. Il pianeta più inospitale balzava agli onori della cronaca e l’allora amministratore della Nasa Jim Bridenstine scriveva su Twitter “It’s time to prioritize Venus”.
Non tutti, però, erano convinti della realtà della riga che emergeva solo dopo un’accurata pulizia del rumore di fondo presente negli spettri raccolti dai radiotelescopi. A gennaio 2021, un gruppo di ricerca concorrente metteva in dubbio che si trattasse di fosfina proponendo che l’assorbimento fosse invece dovuto all’anidride solforosa, un gas certamente presente nelle nubi venusiane che ha una riga di assorbimento molto vicina a quella della fosfina e che quindi poteva certamente inquinare la misura. Parte della fosfina poteva essere anidride solforosa.
Indipendentemente dai dubbi del mondo scientifico, però, l’annuncio della presenza di fosfina nell’atmosfera di Venere ha rilanciato l’interesse per il pianeta tanto che sia la Nasa sia l’Esa hanno deciso di inviare sonde a studiare la sua atmosfera.
Tra il 2028 ed il 2030, verranno lanciate due missioni Nasa chiamate DaVinci+ e Veritas. Mentre Veritas userà la tecnologia radar ad apertura di sintesi per mappare la superficie del pianeta perennemente coperta dalle nubi, migliorando significativamente quanto fatto dalla missione Nasa Magellan trent’anni fa, DaVinci+ studierà l’atmosfera con un orbiter e una sonda che scenderà fino alla superficie mappando come l’ambiente cambi in funzione dell’altezza.
All’inizio della prossima decade, l’Esa lancerà EnVision, che avrà un radar (fornito dalla Nasa) per mappare la superficie del pianeta, un ecoscandaglio per esaminare la struttura del pianeta, uno spettrometro per analizzare la composizione dell’atmosfera e della superficie.
Le tre missioni promettono di farci capire il vulcanesimo e la tettonica di Venere, insieme alla chimica dell’atmosfera responsabile per un disastroso effetto serra.
Chi avrebbe mai pensato che Venere avrebbe goduto di tanta attenzione? I planetologi, che si lamentavano della mancanza di sonde venusiane, adesso ne avranno tre. Tutta colpa della fosfina.
Articolo pubblicato su media.inaf.it, nelle sezioni News e Astronomia.
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