È emerso un nuovo fattore determinante nei cicli meteorologici annuali nella regione dell’Oceano Pacifico equatoriale orientale, dove nascono El Niño e La Niña: la distanza tra la Terra e il Sole. Il ciclo annuale che ne deriva è leggermente più lungo di quello dovuto alla inclinazione dell’asse terrestre, di circa 25 minuti. Tale sfasamento induce un effetto combinato con una ciclicità di circa 22mila anni
11/11/2022
Ci stiamo avvicinando all’inizio dell’inverno boreale e l’Organizzazione mondiale della meteorologia (World Meteorological Organization, Wmo) ha confermato il triplo tuffo – in inglese, triple-dip – de La Niña, la versione femminile del più noto El Niño. Si tratta di un evento molto raro, il primo di questo secolo e il terzo dal 1950, e si chiama così perché questa che sta per arrivare è la terza stagione invernale consecutiva in cui il fenomeno perdura.
La Niña ed El Niño sono due fasi della cosiddetta Enso, dall’inglese Niño-Southern Oscillation, una teleconnessione atmosferica che presenta sia una componente oceanica – El Niño e La Niña, appunto – sia una componente atmosferica, chiamata Oscillazione Meridionale. El Niño è caratterizzato da un riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico centro-meridionale e orientale e La Niña da un raffreddamento delle stesse. La componente atmosferica è caratterizzata da cambiamenti dei livelli di pressione nel Pacifico centro-occidentale e le due componenti, atmosferica e oceanica, sono mutuamente accoppiate: quando è in corso la fase di riscaldamento delle acque (El Niño), la pressione del Pacifico occidentale è alta e quando è in corso la fase di raffreddamento delle acque (La Niña), la pressione del Pacifico occidentale è bassa. Chi si occupa di modelli meteorologici e climatici è arrivato a comprendere abbastanza bene come i venti stagionali e le correnti oceaniche influenzino i modelli di El Niño nell’Oceano Pacifico equatoriale orientale, con un impatto sul tempo meteorologico negli Stati Uniti e talvolta in tutto il mondo.
Lo studio che presentiamo oggi, pubblicato il 9 novembre su Nature, mostra come in realtà sia emerso un nuovo fattore determinante nei cicli meteorologici annuali in quella regione, in particolare nella lingua fredda – in inglese, cold tongue – che si estende verso ovest lungo l’equatore dalla costa del Sud America: la distanza tra la Terra e il Sole.
La distanza tra la Terra e il Sole varia lentamente nel corso dell’anno perché l’orbita terrestre è leggermente ellittica. Quando si trova più vicina al Sole – al perielio – la Terra è circa 4,8 milioni di chilometri più vicina alla nostra stella rispetto a quando si trova nel punto più lontano, l’afelio. Di conseguenza, la luce solare è circa il 7 per cento più intensa al perielio rispetto all’afelio.
La ricerca condotta dall’Università della California Berkeley (Uc Berkeley), dimostra che il leggero cambiamento della nostra distanza dal Sole può avere un grande effetto sul ciclo annuale della lingua fredda. Questo effetto è distinto da quello dovuto all’inclinazione dell’asse terrestre sulle stagioni, che attualmente si ritiene essere la causa del ciclo annuale della lingua fredda.
Secondo John Chiang, professore di geografia della Uc Berkeley, poiché il periodo del ciclo annuale derivante dall’inclinazione terrestre è leggermente diverso da quello derivante dalla distanza, i loro effetti combinati variano nel tempo. «La cosa curiosa è che il ciclo annuale dall’effetto della distanza è leggermente più lungo di quello per l’inclinazione – circa 25 minuti, attualmente – quindi in un arco di circa 11mila anni i due cicli annuali passano dall’essere in fase a essere fuori fase, e di conseguenza la stagionalità netta subisce un notevole cambiamento», spiega Chiang.
Chiang fa notare che l’effetto della distanza è già incorporato nei modelli climatici – sebbene il suo effetto sul Pacifico equatoriale non sia stato riconosciuto fino a ora – e ciò che i ricercatori hanno scoperto non altererà le previsioni meteorologiche o le proiezioni climatiche. Ma il ciclo di 22mila anni potrebbe aver avuto effetti storici a lungo termine. Ad esempio, è noto che la precessione orbitale della Terra – o precessione degli equinozi, della durata di circa 21mila anni – ha influenzato i tempi delle ere glaciali.
L’effetto distanza – e la sua variazione nell’arco di 22mila anni – potrebbe influenzare anche altri sistemi meteorologici sulla Terra. In questo contesto, anche l’Enso è probabilmente interessato perché il suo funzionamento è strettamente legato al ciclo stagionale della lingua fredda.
«Nello studio dei climi del passato, molti sforzi sono stati dedicati a cercare di capire se la variabilità nell’Oceano Pacifico tropicale – cioè il ciclo El Niño/La Niña – è cambiata in passato», riporta Anthony Broccoli della Rutgers University. «Noi abbiamo scelto invece di concentrarci sul ciclo annuale delle temperature oceaniche nella lingua fredda del Pacifico orientale. Il nostro studio ha scoperto che la tempistica del perielio, cioè il punto in cui la Terra è più vicina al Sole, ha un’influenza importante sul clima nel Pacifico tropicale».
Nel 2015, Broccoli, insieme al suo allora studente Michael Erb, aveva compiuto simulazioni al computer con un modello climatico per dimostrare che i cambiamenti di distanza causati dall’orbita ellittica della Terra alteravano drasticamente il ciclo annuale della lingua fredda. Ma chi si occupava di modelli climatici ha per lo più ignorato il risultato, racconta Chiang. «Il nostro campo si concentra su El Niño e pensavamo che il ciclo stagionale fosse chiaro. Ma poi ci siamo resi conto che il risultato di Erb e Broccoli sfidava questa ipotesi», afferma l’autore.
Chiang e i suoi colleghi, tra cui Broccoli e Alyssa Atwood, della Florida State University di Tallahassee, hanno esaminato simulazioni simili utilizzando quattro diversi modelli climatici e hanno confermato il risultato. Ma il team è andato oltre, per spiegare come funziona l’effetto della distanza.
«La teoria ci dice che il ciclo stagionale della lingua fredda gioca un ruolo chiave nello sviluppo e nella conclusione degli eventi Enso», afferma Atwood. «Per questo motivo, molte delle caratteristiche chiave di Enso sono sincronizzate con il ciclo stagionale». Ad esempio, gli eventi Enso tendono a raggiungere il picco durante gli inverni dell’emisfero settentrionale e in genere non persistono oltre i mesi primaverili settentrionali o boreali. A causa di questi collegamenti, è ragionevole aspettarsi che l’effetto distanza possa anche avere un impatto importante su Enso, eventualità che dovrebbe essere esaminata in studi futuri.
«Apprendiamo nelle classi di scienze già alle scuole elementari che le stagioni sono causate dall’inclinazione dell’asse terrestre», aggiunge Broccoli. «Questo è certamente vero ed è stato ben compreso per secoli. Sebbene sia stato riconosciuto anche l’effetto della distanza Terra-Sole, il nostro studio indica che questo “effetto distanza” potrebbe essere un effetto più importante sul clima di quanto non fosse stato riconosciuto in precedenza».
La differenza fondamentale è che i cambiamenti nella distanza del Sole dalla Terra non influenzano in modo diverso gli emisferi settentrionale e meridionale, cosa che invece succede per l’effetto stagionale dovuto all’inclinazione dell’asse terrestre. Invece, riscaldano l’emisfero continentale – dominato dalle masse continentali nord e sudamericane, quella africana e l’eurasiatica – più di quanto non riscaldi l’emisfero marino, perché dominato dall’Oceano Pacifico.
«Il modo tradizionale di pensare ai monsoni è che l’emisfero settentrionale si riscalda rispetto all’emisfero meridionale, generando venti sulla Terra che portano le piogge monsoniche», spiega Chiang. «Ma qui, in realtà, stiamo parlando di differenze di temperatura est-ovest, non nord-sud, che causano i venti. L’effetto distanza sta operando attraverso lo stesso meccanismo delle piogge monsoniche stagionali, ma i cambiamenti del vento provengono da questo monsone da est a ovest».
I venti generati da questo riscaldamento differenziale degli emisferi marino e continentale alterano la variazione annuale delle correnti orientali nel Pacifico equatoriale occidentale, e quindi la lingua fredda. «Quando la Terra è più vicina al Sole, questi venti sono forti. In bassa stagione, quando il Sole è più lontano, questi venti diventano deboli», spiega Chiang. «Quei cambiamenti del vento vengono quindi propagati nel Pacifico orientale attraverso il termoclino e, di conseguenza, guidano un ciclo annuale della lingua fredda».
Secondo Chiang, oggi l’intensità dell’effetto della distanza sulla lingua fredda è circa un terzo dell’intensità dell’effetto dovuto all’inclinazione e si alimentano a vicenda, portando a un forte ciclo annuale della corrente fredda. Circa seimila anni fa si cancellarono a vicenda, producendo un ciclo annuale smorzato della corrente fredda. In passato, quando l’orbita terrestre era più ellittica, l’effetto della distanza sulla lingua fredda sarebbe stato maggiore e avrebbe potuto portare a una cancellazione più completa quando sfasato. Sebbene Chiang e i suoi colleghi non abbiano esaminato l’effetto di tale cancellazione, ciò avrebbe potenzialmente avuto un effetto mondiale sui modelli meteorologici.
Chiang ha sottolineato che l’effetto della distanza sul clima, sebbene chiaro nelle simulazioni del modello climatico, non sarebbe evidente dalle osservazioni perché non può essere facilmente distinto dall’effetto dell’inclinazione. «Questo studio è puramente basato su modelli. Quindi, è una previsione», dice. «Ma questo comportamento è riprodotto da diversi modelli, almeno quattro. E quello che abbiamo fatto in questo lavoro è spiegare perché questo accade. Nel farlo, abbiamo scoperto un altro ciclo annuale della lingua fredda che è guidato dall’eccentricità della Terra».
Atwood ha osservato che, a differenza delle forti modifiche al ciclo stagionale della lingua fredda, le modifiche a Enso tendono a dipendere dal modello. «Sebbene Enso rimanga una sfida per i modelli climatici, possiamo guardare oltre le simulazioni dei modelli climatici a record del paleoclima per studiare la connessione tra i cambiamenti nel ciclo annuale della lingua fredda e l’Enso in passato», ha affermato. «A oggi, i record del paleoclima del Pacifico tropicale sono stati ampiamente interpretati in termini di cambiamenti passati nell’Enso, ma il nostro studio sottolinea la necessità di separare i cambiamenti nel ciclo annuale della lingua fredda dai cambiamenti nell’Enso».
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Articolo pubblicato su media.inaf.it, nelle sezioni Fisica, Geologia, e News.
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