STUDIO PUBBLICATO SU GEOPHYSICAL RESEARCH PLANETS
Un nuovo modello è in grado di spiegare l’antico fluire di fiumi e la formazione di grandi bacini di acqua sotto la superficie di Marte senza invocare un riscaldamento climatico ancora del tutto ipotetico. Basato sul ciclo osservato dell’anidride carbonica nell’atmosfera marziana odierna, il modello funziona anche applicato al Pianeta rosso come si ritiene che fosse 3,6 miliardi di anni fa
Circa tre miliardi e mezzo di anni fa, quando su una Terra quasi interamente coperta di acqua cominciavano a comparire le prime forme di vita, su Marte scorrevano fiumi subglaciali e un bacino delle dimensioni del Mar Mediterraneo si gonfiava sotto la protezione di spessi soffitti di ghiaccio. Il modello che spiega come si siano formati è stato pubblicato in un articolo pubblicato la scorsa settimana su Journal of Geophysical Research – Planets. In sostanza, l’anidride carbonica di cui era composta l’atmosfera si congelò e si depositò ai poli sopra lo spesso strato di ghiaccio d’acqua già esistente, isolando il calore emanato dall’interno di Marte e aumentando la pressione sul ghiaccio. Questo ha fatto sì che circa la metà dell’acqua totale presente sul pianeta si sciogliesse e fluisse sulla sua superficie senza alcun aumento delle temperature esterne.
Marte, arido e rosso pianeta coperto di regolite, presenta oggi un’atmosfera di anidride carbonica molto più sottile di quella che sovrasta la Terra. Ma non è sempre stato così: anche l’atmosfera di Marte un tempo era più densa, e si ritiene che parte di questa sia collassata legandosi alla regolite del terreno, in un processo cominciato proprio 3,6 miliardi di anni fa e visibile ancora oggi. Non solo, secondo il modello strutturato dall’autore dello studio, Peter Buhler, ricercatore al Planetary Science Institute, in Arizona, attualmente l’atmosfera marziana funge da vettore alimentando un ciclo che collega i poli con l’equatore.
«L’atmosfera è più che altro un’accompagnatrice», spiega Buhler. «Agisce come un condotto per la vera azione, che è lo scambio di anidride carbonica tra il regolite e la calotta polare meridionale, ancora oggi».
La vera azione di cui parla l’autore è, dunque, questo ciclo dell’anidride carbonica, regolato dal grado di inclinazione rotazionale di Marte, che si sposta un po’ ogni centomila anni marziani. Quando l’inclinazione di Marte è minima rispetto al piano dell’eclittica, i poli non ricevono molta luce solare diretta, mentre il Sole scalda maggiormente l’equatore. In queste condizioni, il gas di anidride carbonica fuoriesce dalla regolite sul terreno a basse latitudini per entrare nell’atmosfera. E quando raggiunge i poli freddi, si deposita in cima alla calotta di ghiaccio d’acqua. Al contrario, quando Marte è fortemente inclinato, il Sole riscalda i poli e il ghiaccio di anidride carbonica sublima – ovvero si trasforma direttamente da ghiaccio solido a gas – nell’atmosfera, e fluisce dove la regolite più fredda può assorbirlo di nuovo come una spugna.
Un ciclo, questo, che sarebbe riproducibile e verificabile con il modello di Buhler per il Marte di oggi, e che l’autore ha voluto verificare nel periodo in cui il pianeta aveva un’atmosfera di anidride carbonica molto più densa – circa 3,6 miliardi di anni fa appunto. Un’epoca cruciale per il pianeta, in cui non solo l’anidride carbonica ha iniziato a collassare, ma hanno avuto origine anche molte reti fluviali. Se e come le due cose siano legate, però, è ancora oggetto di discussione nella comunità scientifica. Ma non per l’autore di questo studio, che con il suo modello è riuscito a trovare una spiegazione. Vediamo come.
Secondo il modello di Buhler, in quell’epoca uno strato di anidride carbonica di circa 0,6 chilometri di spessore si è depositato sopra un pre-esistente strato di 4 chilometri di ghiaccio d’acqua – spesso quanto quello che esiste oggi al polo sud della Terra. Il ghiaccio di anidride carbonica, che agisce come un potente isolante, ha intrappolato il calore irradiato dall’interno del pianeta, e con il suo peso ha aumentato la pressione sulla calotta di ghiaccio d’acqua. L’acqua alla base della calotta ha iniziato a fondere in grandi quantità fino a raggiungere i lati della calotta di ghiaccio, dove si trovava il permafrost. Calotta di ghiaccio in cima, una falda acquifera satura sotto e il permafrost ai lati: l’unica via d’uscita per l’acqua era l’interfaccia tra lo strato di ghiaccio e la roccia sottostante. Si sarebbero dunque formati così, i fiumi subglaciali sotterranei alla base della calotta glaciale, che scorrendo avrebbero eroso la roccia e lasciato dietro di sé lunghe creste di ghiaia. Fantasie del modello? No, queste strutture, che si chiamano esker, sono state osservate vicino al polo sud marziano, e avrebbero dimensioni coerenti con i fiumi subglaciali previsti da Buhler.
«Gli esker sono la prova che a un certo punto c’è stata una fusione subglaciale su Marte, e questo è un grande mistero», continua Buhler. «Si è cercato di scoprire i processi che avrebbero potuto far sì che ciò accadesse, ma finora nulla ha funzionato davvero. La migliore ipotesi attuale è che ci sia stato un qualche evento di riscaldamento globale non specificato, ma per me è una risposta insoddisfacente, perché non sappiamo cosa abbia causato quel riscaldamento. Il mio modello, invece, spiega gli esker senza invocare il riscaldamento climatico».
Continuando il viaggio, quando i fiumi subglaciali raggiungono il bordo della calotta glaciale incontrano l’atmosfera fredda e inizialmente formano colate trasudanti, come lava in lento movimento coperta da una pelle ghiacciata. Con il tempo, queste colate incrostate di ghiaccio si gonfiano di acqua fino a diventare veri e propri fiumi ghiacciati. Secondo il modello, il ghiaccio che ricopriva i fiumi avrebbe avuto uno spessore di decine o centinaia di metri mentre il fiume stesso sarebbe stato profondo pochi metri. Un fiume a scorrimento lento, appena pochi metri al secondo, ma con una quantità di acqua sufficiente a raggiungere lunghezze di migliaia di chilometri.
E qui, di nuovo la domanda: esistono alcune strutture visibili su Marte a supporto di questa idea? Secondo Buhler, nelle stesse regioni meridionali in cui si osservano gli esker, sì. Lì, dove si trova il bacino di Argyre, ci sono diverse valli lunghe e sinuose che scendono dalla regione polare meridionale, già identificate come antichi canali fluviali, pur senza una spiegazione circa la loro origine. E il bacino di Argyre stesso, rigonfio di acqua sotto il ghiaccio e con un volume pari a quello del Mar Mediterraneo, sarebbe stato un mare coperto di ghiaccio, e avrebbe continuato ad accumulare acqua per decine di migliaia di anni prima di tracimare e svuotarsi nelle pianure settentrionali.
La forza di questo modello, scrive l’autore nell’articolo, è che – basandosi solo sul ciclo osservato dell’anidride carbonica – sarebbe in grado di spiegare come grandi quantità d’acqua possano formarsi e muoversi in un clima freddo, senza dover ricorrere a una fase di riscaldamento climatico ancora del tutto ipotetico su Marte. Prima di cantar vittoria, comunque, è necessario trovare verifica più ampia anche nei dati e nelle osservazioni.
Per saperne di più:
- Leggi su Journal of Geophysical Research – Planets l’articolo “Massive Ice Sheet Basal Melting Triggered by Atmospheric Collapse on Mars, Leading to Formation of an Overtopped, Ice-Covered Argyre Basin Paleolake Fed by 1,000-km Rivers“, di Peter Buhler
Articolo di Valentina Guglielmo pubblicato il 08/11/2024 su media.inaf.it nelle sezioni Astronomia, Geologia, News
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