LA CHEMIOTASSI COME BIORFIRMA PER LA VITA OLTRE LA TERRA
Un gruppo di scienziati guidati dall’Università di Berlino ha sviluppato un metodo per individuare la vita extra-terrestre. L’approccio, che utilizza la motilità microbica come biofirma, ha dato risultati promettenti: i test in laboratorio hanno dimostrato la fattibilità del metodo di sondare la presenza di microrganismi, rendendolo utilizzabile nelle future missioni spaziali per individuare la vita su Marte e su altri pianeti
Individuare tracce di vita extraterrestre è una delle sfide più ardue che si pone oggi la ricerca astrobiologica. Scrutare pianeti lontani in cerca di biofirme chimiche nelle loro atmosfere e/o sondare la composizione del suolo alla ricerca di acqua liquida o molecole organiche complesse, sono alcuni dei metodi utilizzati per trovare una prova della sua esistenza. Tuttavia, la rivelazione di queste biofirme non sempre permette di distinguere un ambiente potenzialmente abitabile da uno realmente abitato. Le biofirme, inoltre, possono derivare anche da processi non biologici, rendendo difficile la conferma di un’origine vivente.

In primo piano, una piastra contenente microbi. Sullo sfondo, alcuni pianeti extrasolari sui quali è attiva la ricerca di vita. Crediti: Illustrazione artistica creata con Adobe AI
E se esistesse un modo più semplice e diretto per trovare la vita oltre la Terra? Ad esempio un metodo in grado di individuare inequivocabile la sua presenza rivelando il movimento microbico? È quello che propone un gruppo di scienziati guidati della Technical University Berlin: un test di motilità, come viene chiamato dagli addetti ai lavori, che, senza l’ausilio di sofisticate apparecchiature, permette di individuare la presenza di microrganismi in grado di muoversi autonomamente; una capacità, questa del movimento, che rappresenta un solido indizio di vita. I risultati della ricerca sono stati pubblicati oggi sulla rivista Frontiers in Astronomy and Space Sciences.
Lo studio si fonda su una caratteristica specifica e distintiva di molti organismi terrestri: la motilità. La motilità è una caratteristica presente in tutti e tre i domini della vita (batteri, archea ed eucarioti) e può essere attivata tramite diversi meccanismi molecolari in risposta a vari segnali ambientali. C’è ad esempio la fototassi, il movimento in risposta a stimoli luminosi. C’è la magnetotassi, che comporta il riorientamento in funzione dei campi magnetici. E c’è anche la chemiotassi, il movimento indotto dal gradiente di una sostanza chimica: la forma di motilità oggetto dello studio in questione. Chemio-attrattore e chemio-repellente sono i termini usati per indicare la molecola (un nutriente o un veleno) verso cui gli organismi si muovono o si allontanano, rispettivamente.
Prendendo spunto da quest’ultimo comportamento tipico di alcuni esseri viventi, Max Riekeles, Vincent Bruder e Dirk Schulze Makuch, tutti e tre ricercatori della Technical University Berlin, hanno sviluppato un metodo nuovo e semplice per individuare la presenza di microrganismi; un approccio che potrebbe essere usato nelle future missioni spaziali per individuare la vita su Marte e altri pianeti.
Il metodo, applicabile per il rilevamento della vita in situ, utilizza un piccolissimo vetrino con due camere separate da una sottile membrana, chiamato μ-slide, e una sostanza, la L-serina, in grado di indurre la chemiotassi in alcune specie batteriche. Per testare la fattibilità di questo metodo, e in particolare l’efficienza della L-Serina nello stimolare il movimento di alcune specie di germi, Riekeles e colleghi hanno condotto test di motilità in laboratorio, adagiando i microrganismi all’interno di una camera del vetrino e aggiungendo L-Serina nell’altra. Le specie incluse nello studio sono microorganismi estremofili, cioè organismi in grado di vivere in una varietà di ambienti ostili.
Oltre al batterio Bacillus subtilis, una specie in grado di sopravvivere e sopportare temperature fino a 100 gradi Celsius, nella ricerca sono stati utilizzati lo Pseudoalteromonas haloplanktis, un batterio isolato dalle acque antartiche in grado di vivere in ambienti con temperature comprese tra -2,5 e 29 gradi Celsius, e Haloferax volcanii, un archeobatterio “coltivabile” facilmente in laboratorio – caratteristica rara per un estremofilo – isolato da ambienti come il Mar Morto, il Gran Lago Salato dello Utah, negli Usa, e ambienti oceanici caratterizzati da elevate concentrazioni di cloruri. Haloferax volcanii prospera anche in ambienti caratterizzati da elevata salinità e alti livelli di radiazione, condizioni molto simili a quelle che si trovano sulla superficie di Marte.
Questi organismi sono stati scelti per due motivi principali, spiegano i ricercatori. La prima ragione è questa: dato che non è stato ancora identificato alcun microbo extraterrestre, i tratti necessari per sopravvivere in ambienti esoplanetari non sono ben compresi e pertanto è difficile scegliere organismi rappresentativi da esaminare. Tuttavia, è possibile ipotizzare che per la sopravvivenza in climi extraterrestri come quello di Marte, caratteristiche specifiche, come la capacità di formare spore e l’attitudine a vivere in ambienti freddi (psicrofila) e salati (alofilia), sarebbero probabilmente vantaggiose per la sopravvivenza. Poiché ogni organismo selezionato in questo esperimento esibisce uno o più di questi tratti, risulta il migliore da usare come organismo modello di microbi extraterrestri.
La seconda ragione riguarda la molecola chemio-attrattiva. Studi precedenti hanno dimostrato che Bacillus subtilis è attratto dalla L-serina, ciò consente ai ricercatori di utilizzare il batterio come controllo positivo, cioè il controllo che permette di verificare che i risultati negativi siano validi. Pseudoalteromonas haloplanktis è invece debolmente respinto dalla L-serina, il che consente agli scienziati di utilizzarlo come controllo negativo, cioè il controllo che permette di verificare che i risultati positivi sia realmente tali.
«I batteri e gli archea sono due delle forme di vita più antiche sulla Terra, ma si muovono in modi diversi e hanno sviluppato sistemi di motilità indipendentemente l’uno dall’altro», sottolinea Riekeles. «Testando entrambi i gruppi, possiamo rendere i metodi di rilevamento della vita più affidabili per le future missioni spaziali».
La sostanza chemio-attrattiva utilizzata, come dicevamo, è la L-serina, un amminoacido proteinogenico utile nei batteri per il metabolismo dell’azoto e del carbonio, ma utilizzato anche per attivare sistemi di risposta allo stimolo che portano poi al movimento del microrganismo. Si ritiene che la L-serina sia presente anche su Marte. Se dunque la vita sul Pianeta rosso avesse una biochimica simile a quella sulla Terra, è plausibile che la molecola possa attrarre potenziali microbi marziani.
Nello studio i ricercatori hanno utilizzato un approccio semplificato, che potrebbe fare la differenza nel rilevare o meno tracce di vita extraterrestre nelle future missioni spaziali. Invece di attrezzature complesse, hanno utilizzato un vetrino chiamato μ-slide con due camere separate da una sottile membrana. I microbi vengono posizionati su un lato e la sostanza chimica L-serina viene aggiunta all’altro. «Se i microbi sono vivi e in grado di muoversi, nuotano verso la L-serina attraverso la membrana», dice Riekeles a questo proposito. «Questo metodo è facile, conveniente e non richiede computer potenti per analizzare i risultati».

Flusso di lavoro semplificato che mostra il sistema di rilevamento della vita suggerito nello studio. Crediti: Max Riekeles et al., Frontiers in Astronomy and Space Sciences, 2025
Il protocollo sperimentale è stato il seguente. Inizialmente, la camera destra della μ-slide, designata come camera chemio-attrattiva, è stata riempita con il liquido contenente concentrazioni variabili di L-serina. Successivamente, una soluzione contenente i microorganismi sospesi nel proprio liquido di crescita è stata aggiunta alla camera di sinistra. I vetrini sono stati quindi coperti con un coperchio e incubati a temperature idonee per consentire la formazione del gradiente chimico della L-serina e la eventuale migrazione degli organismi. L’esperimento è stato condotto separatamente con ciascuno dei tre microbi.
Terminata l’incubazione, è stato effettuato un controllo per essere certi che l’aumento osservato nel numero di cellule nella camere dei chemio-attrattori fosse attribuibile alla migrazione per chemiotassi e non alla crescita cellullare. Completato questo test, i vetrini sono stati osservati al microscopio per verificare la motilità di tutti i microorganismi testati. Per ciascuna camera chemio-effettrice sono state acquisite dieci immagini al microscopio. Le immagini sono state quindi analizzate per il conteggio delle cellule e il numero medio di conteggi utilizzato per il calcolo della deviazione standard, che descrive la variabilità di una serie di misure effettuate su un campione, e l’errore standard, che misura l’incertezza nella stima di un valore statistico.
Andiamo ora ai risultati. L’esperimento, spiegano i ricercatori, evidenzia che tutti e tre gli organismi hanno esibito un comportamento chemiotattico significativo in risposta alla L-serina, supportando ulteriormente la base della chemiotassi e, più in generale, della motilità come importante biofirma microbica. «In particolare», aggiunge Riekeles, «l’uso di H. volcanii amplia la portata delle potenziali forme di vita che possono essere rilevate usando metodologie basate sulla chemiotassi, anche quando è noto che alcuni archea possiedono sistemi chemiotattici». Per quanto riguarda l’archeobatterio H. volcanii, è infatti la prima volta che viene rilevata una risposta chemiotattica indotta dalla L-serina.
Nel contesto dell’astrobiologia, la chemiotassi rimane un campo ampio e solo parzialmente compreso, che promette di essere di fondamentale importanza sia per l’isolamento che per l’identificazione di microbi viventi, concludono i ricercatori. I risultati di questo studio dimostrano efficacemente la fattibilità di utilizzare le μ-slide per l’osservazione della chemiotassi di procarioti in intervalli di tempo più brevi (diverse ore) e più lunghi (fino a 24 ore). Dati i vincoli tecnici, computazionali e di tempo necessari per una missione di rilevamento della vita in situ, questo approccio semplificato potrebbe essere un modo conveniente in termini di risorse per sondare la potenziale vita responsiva alla chemiotassi. Sebbene siano necessari ulteriori adattamenti per la sua applicabilità sul campo, i requisiti minimi necessari di risorse e tecniche, nonché la ridotta necessità di osservazione continua, rendono il loro utilizzo un’alternativa attraente per le future missioni spaziali, dove potenza, gestione dell’operatore, archiviazione dei dati e capacità di elaborazione dati sono limitate.
Per saperne di più:
- Leggi su Frontiers in Astronomy and Space Sciences l’articolo “Application of chemotactic behavior for life detection” di Max Riekeles, Vincent Bruder, Nicholas Adams, Berke Santos, Dirk Schulze-Makuch