Gli astronomi guidati dall’Inaf hanno identificato le prove di questo processo di cannibalizzazione dalla composizione chimica di stelle simili al Sole. Nell’articolo pubblicato oggi su Nature Astronomy viene riportato uno studio statistico effettuato su 107 sistemi binari utilizzando i dati prodotti dallo spettrografo Harps montato sul telescopio da 3,6 metri dell’Eso
Gli astronomi hanno identificato le prove di questo processo di cannibalizzazione dalla composizione chimica di stelle simili al Sole. Nello specifico, il gruppo ha eseguito uno studio statistico su 107 sistemi binari composti utilizzando i dati prodotti dallo spettrografo Harps montato sul telescopio da 3,6 metri dell’Eso. A questi spettri hanno poi aggiunto altri dati già presenti nei database e che sono stati acquisiti da spettrografi ad alta risoluzione simili ad Harps.
Le due componenti stellari di un sistema binario sono formate dallo stesso gas e quindi dovrebbero essere chimicamente identiche. Tuttavia, se un pianeta cade in una delle due stelle si dissolve nello strato stellare esterno modificando la composizione chimica della stella cannibale, con elementi più pesanti (come litio e ferro) che risultano più abbondanti di quanto previsto. La composizione chimica dell’altra stella invece resterà invariata. Andando a confrontare gli elementi chimici delle due componenti di un gran numero di sistemi binari, i ricercatori sono stati in grado di identificare quali stelle avessero una composizione anomala, dimostrando poi che le anomalie chimiche possono essere causate solo dalla caduta di pianeti verso la stella centrale.
Il team è riuscito a determinare con quale frequenza stelle simili al Sole inghiottiscono i propri pianeti: ben un quarto di queste stelle ospitano sistemi planetari talmente caotici da aver portato a drammatici eventi di cannibalizzazione planetaria. Ciò si verifica con una probabilità compresa tra il 20 e il 35 per cento. «Sarebbe come se Giove o Saturno cadessero verso il Sole, distruggendo anche le orbite dei pianeti più interni. È improbabile che sistemi planetari così dinamici siano adatti ad ospitare forme di vita complessa come quelle presenti sulla Terra», specifica Lorenzo Spina, primo autore dell’articolo nonché assegnista di ricerca presso l’Inaf di Padova.
«Questi risultati», continua Spina, «rappresentano una svolta generazionale dell’astrofisica stellare e nell’esplorazione degli esopianeti. Fino ad adesso sapevamo solo dell’esistenza di alcuni sistemi binari anomali, formati cioè da stelle chimicamente differenti. Tuttavia la causa di queste anomalie non era ancora del tutto chiara. Abbiamo condotto uno studio statistico su un grande campione di stelle dimostrando che le anomalie osservate sono la diretta conseguenza della cannibalizzazione di pianeti. Per esempio, ci siamo accorti che più lo strato esterno della stella si assottiglia, tanto più aumenta la probabilità di osservare anomalie chimiche. Questo perché, quando il materiale planetario si diluisce in una minor quantità di materiale stellare, aumenta la sua capacità di mutare la composizione chimica stellare».
«Una delle principali sfide scientifiche del ventunesimo secolo è senza dubbio la ricerca di pianeti quanto più simili alla Terra. Tuttavia la Via Lattea contiene milioni di stelle simili al nostro Sole e la caccia alla Terra 2.0 rischia di diventare molto simile alla ricerca del proverbiale ‘ago nel pagliaio’. Il nostro studio apre alla possibilità di usare l’informazione sulla composizione chimica delle stelle per identificare quelle che hanno probabilità maggiori di ospitare gemelli del nostro Sistema solare», conclude Spina.
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