Si stringe il cerchio attorno allo sfuggente buco nero supermassiccio che si pensa alberghi nel cuore di Leo I, una galassia nana a poco più di 800mila anni luce da noi: a tradirne la presenza potrebbero essere i venti emessi dalle giganti rosse che gli orbitano attorno, suggerisce uno studio su ApJL firmato da Fabio Pacucci e Avi Loeb del Center for Astrophysics di Harvard
29/11/2022
Ad aprile aveva scoperto la galassia più lontana dell’universo. Ora ha invece firmato un articolo – pubblicato ieri su The Astrophysical Journal Letters – nel quale spiega come si potrebbe fare per osservare il secondo buco nero supermassiccio a noi più vicino. Lui è Fabio Pacucci, astronomo pugliese di 34 anni, oggi a Harvard dopo una laurea in fisica alla Sapienza e un dottorato alla Normale di Pisa. E il buco nero sul quale ha puntato gli occhi è Leo I*, un “mostro” da tre milioni di masse solari che si pensa alberghi nel cuore di Leo I, una galassia nana satellite della Via Lattea, visibile nella costellazione del Leone, a poco più di 800mila anni luce da noi.
Il buco nero supermassiccio più vicino è naturalmente il “nostro”: Sagittarius A*, la cui fotografia – scattata dall’Evento Horizon Telescope – ha fatto il giro del mondo lo scorso maggio. Quello di cui scrivono Pacucci e il collega Avi Loeb – Leo I*, appunto – è invece un buco nero la cui esistenza è stata ipotizzata per la prima volta alla fine dello scorso anno da un team di astronomi guidato da Maria Jose Bustamante-Rosell. Come? Misurando le orbite delle stelle di Leo I, la cui velocità s’impennava avvicinandosi verso il centro: segno, per quanto indiretto, della presenza di un buco nero supermassiccio. Ma sarebbe possibile cogliere indizi meno indiretti della sua esistenza? Per esempio osservando la materia di cui si nutre? Secondo Pacucci e Loeb sì.
«I buchi neri sono oggetti molto sfuggenti, a volte si divertono a giocare con noi a nascondino», dice Pacucci. «La luce non può sfuggire all’orizzonte degli eventi, ma se c’è materia a sufficienza in caduta verso il loro pozzo gravitazionale, l’ambiente che li circonda può essere estremamente luminoso. Al contrario, se un buco nero non sta accumulando massa ecco che non emette luce, diventando impossibile da osservare con i nostri telescopi». E pare sia proprio questo il caso del buco nero di Leo I, una galassia nana che gli astronomi definiscono “fossile” proprio per l’assenza di gas disponibile per l’accrescimento.
Eppure, come dicevamo, secondo i due astronomi di Harvard qualche speranza d’intravederlo c’è. «Nel nostro studio mostriamo come una piccola quantità di massa persa dalle stelle che vagano intorno al buco nero potrebbe essere sufficiente a fornire il tasso di accrescimento necessario per osservarlo», spiega infatti Pacucci. «Invecchiando, le stelle diventano molto grandi e rosse – le chiamiamo giganti rosse. Le giganti rosse sono caratterizzate da venti forti che trasportano una frazione della loro massa nell’ambiente circostante. E lo spazio intorno a Leo I* sembra contenere una quantità di queste antiche stelle sufficiente a renderlo osservabile».
«Vedere Leo I* sarebbe un’osservazione rivoluzionaria», sottolinea Loeb. «Si tratterebbe del secondo buco nero supermassiccio più vicino dopo quello al centro della nostra galassia, con una massa molto simile ma ospitato da una galassia mille volte meno massiccia della Via Lattea. Un fatto che sfida tutto ciò che sappiamo del modo in cui le galassie e i loro buchi neri supermassicci coevolvono. Come ha potuto un bambino così grande nascere da un genitore così esile?».
E in effetti la stima della massa del buco nero al centro di Leo I aveva sin da subito sorpreso gli astronomi: 3.3 milioni di masse solari, paragonabile dunque a Sagittarius A* (4.4 milioni di masse solari), quello nel cuore della nostra galassia, la Via Lattea, che però è 30 volte più grande di Leo I. «Tutto ciò è eccitante», gongola Loeb, «perché di solito è proprio quando accade l’imprevisto che la scienza avanza di più».
Certo, come si intuisce da tutti i condizionali usati finora, c’è bisogno di un po’ di conferme. I due astronomi hanno per questo già reclutato il telescopio spaziale Chandra e il Vla, il Very Large Array, al fine di cercare tracce d’emissioni X e radio. E Pacucci è ottimista: «Leo I* sta giocando a nascondino», dice, «ma emette troppa radiazione per rimanere irrilevato a lungo».
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Articolo pubblicato su media.inaf.it, nelle sezioni Astronomia e News.
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