Un team di ricerca internazionale guidato dall’Istituto di scienze polari e dall’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr ha scoperto un fenomeno sorprendente: l’aumento delle temperature globali ha portato i ghiacciai dell’Himalaya a raffreddare sempre più l’aria a contatto con la superficie ghiacciata, mitigando a livello locale le temperature. Lo studio, realizzato in collaborazione con l’Institute of Science and Technology Austria, è stato appena pubblicato su Nature Geoscience e spiega come tale raffreddamento, riscontrato in tutta la catena himalayana, potrebbe preservare il permafrost e gli ecosistemi d’alta quota.
Comunicato stampa dell’Ufficio Stampa CNR, il 4/12/2023
È noto che ghiacciai del mondo a causa del riscaldamento globale rischiano nel tempo di fondere completamente e scomparire. Sorprende quindi sapere che i ghiacciai della catena dell’Himalaya si trovano in controtendenza: le medie misurate della temperatura dell’aria invece di aumentare, come ci si aspettava, sono rimaste stabili e quelle estive decrescono. A rivelarlo è uno studio coordinato dall’Istituto di scienze polari (Cnr-Isp) e dall’Istituto di ricerca sulle acque (Cnr-Irsa) del Consiglio nazionale delle ricerche, svolto in collaborazione con l’Institute of Science and Technology Austria (Ista). I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Nature Geoscience.
“Sappiamo che gli effetti del riscaldamento dipendono dall’altitudine: le cime delle montagne risentono maggiormente dell’effetto del global warming e si riscaldano più velocemente”, spiega Franco Salerno, coautore dello studio e ricercatore Cnr-Isp. “Tuttavia, abbiamo scoperto che una stazione climatica d’alta quota alla base del Monte Everest, in Nepal, ha mostrato un fenomeno inaspettato: le medie della temperatura misurate dell’aria sono rimaste sospettosamente stabili, invece di aumentare”.
Per spiegare il fenomeno osservato il team di ricerca ha dovuto esaminare con attenzione i dati meteorologici che la stazione climatica del Laboratorio-Osservatorio Internazionale Piramide Ev-K2-Minoprio, situata a 5050 m di altitudine sulle pendici meridionali del Monte Everest, ha registrato per tre decenni, la più lunga serie climatica in alta quota. esistente al mondo. Una serie che rappresenta l’unica evidenza per comprendere come è cambiato il clima sulle montagne del Terzo Polo. “I ghiacciai stanno reagendo al riscaldamento climatico aumentando lo scambio di temperatura con la superficie. Il riscaldamento globale causa, infatti, un aumento della differenza di temperatura tra l’aria ambientale più calda sopra il ghiacciaio e la massa d’aria a diretto contatto con la superficie del ghiacciaio”, prosegue Francesca Pellicciotti, ricercatrice dell’Ista e coautrice del paper. “Questo porta a un aumento dello scambio di calore sulla superficie del ghiacciaio e un maggiore raffreddamento della massa d’aria superficiale. Le masse d’aria fresche e secche in superficie diventano più dense e scendono lungo i pendii verso le valli, raffreddando le parti inferiori dei ghiacciai e gli ecosistemi circostanti, che dipendono in questo modo dalla salute del ghiacciaio stesso”.
“In sostanza riteniamo che il riscaldamento del clima stia innescando proprio un aumento di queste masse d’aria fredde – note come venti catabatici – che scendono dai pendii dei ghiacciai e che questo fenomeno possa contribuire a preservare il permafrost e la vegetazione circostante”, afferma Nicolas Guyennon, coautore dello studio e ricercatore del Cnr-Irsa.
Per approfondire, il team ha attinto ai più recenti progressi scientifici nei modelli climatici: la rianalisi climatica globale chiamata “ERA5-Land” che combina i dati dei modelli con le osservazioni provenienti da tutto il mondo. L’interpretazione di questi dati ha permesso ai ricercatori di dimostrare che il fenomeno osservato si è verificato non solo sul Monte Everest, ma nell’intera catena himalayana. “Il prossimo passo sarà scoprire quali caratteristiche chiave dei ghiacciai favoriscono questa reazione”, aggiunge Salerno. Dovremo capire quali ghiacciai possono reagire in questo modo al riscaldamento globale e per quanto tempo”.
“Mentre altri ghiacciai, per esempio i nostri alpini, stanno vivendo cambiamenti drammatici, i ghiacciai d’alta montagna del Terzo Polo in Asia sono molto più grandi, contengono più ghiaccio e hanno quindi tempi di reazione più lunghi”, continua Guyennon “Questo fenomeno non deve far abbassare la guardia nei confronti dei cambiamenti climatici. Le temperature fresche percepite che scendono dai ghiacciai sono una reazione di emergenza al riscaldamento globale, piuttosto che un indicatore della stabilità a lungo termine dei ghiacciai”.
Interessanti le prospettive future di studio: il team indagherà se i ghiacciai del Pamir e del Karakoram, che contrariamente a quanto avviene nel resto del mondo sono “stabili” o “in crescita”, stiano effettivamente reagendo al riscaldamento globale soffiando sempre più venti freddi lungo le loro pendici. “I pendii dei ghiacciai del Pamir e del Karakoram sono generalmente più piatti di quelli dell’Himalaya. Pertanto, ipotizziamo che i venti freddi possano raffreddare maggiormente i ghiacciai stessi piuttosto che raggiungere gli ambienti circostanti più in basso. Lo sapremo nei prossimi due anni”, conclude Salerno.
Ufficio stampa Cnr: Cecilia Migali, cecilia.migali@cnr.it; Responsabile: Emanuele Guerrini, emanuele.guerrini@cnr.it, Segreteria: ufficiostampa@cnr.it – P.le Aldo Moro 7, Roma