IL MARVL, UN AMBIZIOSO PROGETTO DELLA NASA
Per ridurre il tempo di viaggio in vista di un volo umano verso Marte, una possibilità sembra essere un nuovo tipo di radiatore modulare impiegato nella propulsione nucleare elettrica. Un sistema sicuramente più potente in termini di performance, ma al contempo complicato e “ingombrante”. Per questo la Nasa ha coinvolto un team di esperti che per due anni lavorerà al progetto
Quanto potrebbe durare un viaggio umano verso Marte? Le variabili in gioco sono molte: distanza fra la Terra e il pianeta (una quantità in continua variazione), sistema di propulsione, tipo di veicolo sviluppato per volare e per atterrare sulla superficie del pianeta, e infine composizione dell’equipaggio. Per dare un’idea, nel 2022 la Nasa ha pubblicato un report con diverse simulazioni che tenessero conto di tutte queste variabili, per capire come ciascuna di queste potesse influire nel design della missione. Ne sono uscite 27 diverse alternative, con viaggi che duravano da 850 a 1250 giorni terrestri (comprensivi di durata effettiva del transito, più il tempo per il rendez-vous, la sosta e l’opportunità di lancio dell’equipaggio). Al vaglio dell’agenzia spaziale americana, ora, ci sarebbe però una nuova tecnologia, che consentirebbe di eseguire una missione umana sul Pianeta rosso in un tempo totale di due anni (circa 730 giorni).
Il contesto è quello della propulsione nucleare, che si avvale di un reattore a fissione nucleare e si può dividere in due grandi famiglie: i propulsori nucleari termici e quelli nucleari elettrici. La propulsione nucleare termica è la più semplice. Motori di questo tipo sono già stati costruiti e testati a terra. Sebbene sia più performante dei motori attualmente in uso, basati sulla combustione di propellente, delle due soluzioni funzionanti a fissione nucleare, questa è la meno efficiente. La propulsione nucleare elettrica è più complessa. È composta da tre pilastri fondamentali: una sorgente di calore ad alta densità e potenza (il reattore a fissione), un sistema di generazione di energia elettrica e un sistema propulsivo in grado di sfruttare quella elettricità per generare spinta in modo efficiente. Nello specifico, l’energia elettrica prodotta serve per ionizzare, o caricare positivamente, e accelerare elettricamente il propellente gassoso impiegato per fornire la spinta al veicolo spaziale. Un concetto che non è nuovo, a dire il vero, e che era stato esplorato anche in quel documento a cui accennavamo prima, ma con una sostanziale differenza. La novità proposta dalla Nasa è un nuovo tipo di radiatore modulare – il Modular Assembled Radiators for Nuclear Electric Propulsion Vehicles, o Marvl. In particolare, l’agenzia si propone di prendere un elemento critico della propulsione nucleare elettrica, il sistema di dissipazione del calore, e dividerlo in componenti più piccoli che possono essere assemblati roboticamente e autonomamente nello spazio.
«Il progetto Marvl rappresenta una importante pietra miliare per la realizzazione di sistemi propulsivi in grado di portare l’uomo su Marte con tempi di viaggio ragionevoli», commenta a Media Inaf Filippo Maggi, professore associato allo Space Propulsion Laboratory Dept. of Aerospace Science and Technology del Politecnico di Milano, non coinvolto nel progetto. «Per convertire il calore in energia elettrica il generatore richiede un sistema di dissipazione del calore, le cui dimensioni limitano la potenza gestibile. A loro volta, questi oggetti devono essere mandati in orbita e il lanciatore impone dei limiti dimensionali e di peso. Per risolvere questo problema la Nasa, con il progetto Marvl, sta sviluppando tecnologie che permettono l’assemblaggio robotico nello spazio di queste piattaforme spaziali. Tuttavia, per poter arrivare a una missione reale si dovranno sviluppare anche gli altri pilastri della tecnologia nucleare elettrica, ossia un reattore a fissione in grado di resistere alle condizioni estreme dello spazio interplanetario per lunghi periodi di tempo e un propulsore in grado di fornire alte spinte in modo efficiente grazie alla elevata potenza elettrica a disposizione».
A lavorare a questo concetto sono i ricercatori del Langley Research Center della Nasa di Hampton, in Virginia, a cui il progetto Marvl è stato assegnato attraverso la Early Career Initiative. Il team avrà due anni di tempo per far progredire il concetto di propulsione nucleare e sviluppare il sistema di gestione termica, e per farlo ha coinvolto nel lavoro anche un partner esterno, l’azienda Boyd Lancaster, Inc. Alla fine di questo periodo, dicono, l’idea è di riuscire a sviluppare una dimostrazione a terra su piccola scala.
La vera sfida, per quanto riguarda l’ottimizzazione del sistema di gestione termica della propulsione nucleare, riguarda le dimensioni. Completamente dispiegato, infatti, l’array di radiatori per la dissipazione del calore sarebbe grande all’incirca come un campo da calcio. Non è difficile immaginare cosa possa significare ripiegare ordinatamente un sistema così massiccio all’interno dell’ogiva di un razzo. La tecnologia Marvl invece si propone di superare il problema inviando il sistema nello spazio a pezzi, per poi assemblare il tutto fuori dal pianeta. Una volta nello spazio, i robot collegherebbero i pannelli del radiatore del sistema di propulsione elettrica nucleare, attraverso i quali scorrerebbe un refrigerante metallico liquido, come una lega di sodio e potassio. È la prima volta che si pensa di costruire roboticamente un sistema di propulsione nucleare direttamente nello spazio, ed è questa la sfida più grande. Senza contare i rischi connessi alla nuova tecnica di propulsione, mai testata prima nello spazio, nonché i suoi limiti.
«La propulsione elettrica nucleare è un concetto ormai storico, che risale agli anni ’60 del secolo scorso. Tra il dire e il fare, però, c’è il proverbiale mare: i dettagli tecnici sono molto critici» dice a Media Inaf Tommaso Ravaglioli, che nel corso della sua carriera ha lavorato a progetti aeronautici, spaziali e missilistici, sia in ambito civile che militare. «Questa architettura è infatti molto adatta a fornire una spinta ridotta per tempi lunghissimi, il che la rende appetibile per viaggi verso i pianeti esterni, dove per la distanza dalla nostra stella i pannelli solari risultano molto meno utili. La principale limitazione è la scarsa spinta, che impedisce di usare questa propulsione per lasciare il pianeta. Inoltre, nel tempo sono stati sperimentati nello spazio sia i reattori nucleari, sia i propulsori elettrici ma l’unione delle due tecnologie ancora è da sperimentare. Questo progetto non ha requisiti semplici: l’assemblaggio deve essere possibile in modo automatico e la lega metallica refrigerante deve essere mantenuta sempre allo stato liquido, pena la distruzione del reattore».
Articolo di Valentina Guglielmo pubblicato il 17/01/2025 su media.inaf.it nelle sezioni Astronomia, News, Spazio
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